L’arte della guerra
UE, Area Schengen
per le forze NATO
Manlio Dinucci
La Commissione europea ha presentato il 28
marzo il Piano d’azione sulla mobilità militare. «Facilitando la mobilità militare
all’interno della UE – spiega la rappresentante esteri dell’Unione, Federica
Mogherini – possiamo reagire più efficacemente quando sorgono le sfide». Anche
se non lo dice, è evidente il
riferimento alla «aggressione russa». Il Piano d’azione è stato deciso in
realtà non dalla UE, ma dal Pentagono e dalla NATO.
Nel 2015, il generale Ben Hodges, Comandante
delle Forze Terrestri USA in Europa (U.S. Army Europe), ha richiesto
l’istituzione di «un’Area Schengen militare» così che le forze USA, per
fronteggiare «l’aggressione russa», possano
muoversi con la massima rapidità da un paese europeo all’altro, senza essere
rallentate da regolamenti nazionali e procedure doganali.
Tale richiesta è stata fatta propria dalla
NATO: il Consiglio Nord Atlantico, riunitosi l’8 novembre 2017 a livello di ministri
della Difesa, ha chiesto ufficialmente all’Unione Europea di «applicare legislazioni
nazionali che facilitino il passaggio di forze militari attraverso le
frontiere» e, allo stesso tempo, di «migliorare le infrastrutture civili così
che siano adattate alle esigenze militari». Il 15 febbraio 2018, il Consiglio
Nord Atlantico a livello di ministri della Difesa ha annunciato la costituzione
di un nuovo Comando Logistico NATO per «migliorare il movimento in Europa di
truppe ed equipaggiamenti essenziali alla difesa». Poco più di un mese dopo,
l’Unione europea ha presentato il Piano d’azione sulla mobilità militare, che
risponde esattamente ai requisiti stabiliti dal Pentagono e dalla NATO.
Esso prevede di «semplificare le formalità
doganali per le operazioni militari e il trasporto di merci pericolose di tipo
militare». Si prepara così «l’Area Schengen militare», con la differenza che a
circolare liberamente non sono persone ma carrarmati. Movimentare carrarmati e
altri mezzi militari su strada e per ferrovia non è però lo stessa cosa che
farvi circolare normali autoveicoli e treni. Si devono perciò rimuovere «le
esistenti barriere alla mobilità militare», modificando «le infrastrutture non
adatte al peso o alle dimensioni dei mezzi militari, in particolare ponti e ferrovie
con insufficiente capacità di carico». Ad esempio, se un ponte non è in grado
di reggere il peso di una colonna di carrarmati, dovrà essere rafforzato o
ricostruito.
La Commissione europea «individuerà le
parti della rete trans-europea dei trasporti adatte al trasporto militare, stabilendo
le necessarie modifiche». Esse dovranno essere effettuate lungo decine di
migliaia di chilometri della rete stradale e ferroviaria. Ciò richiederà una
enorme spesa a carico dei paesi membri, con un «possibile contributo finanziario
Ue per tali opere».
Saremo comunque sempre noi cittadini
europei a pagare queste «grandi opere», inutili per usi civili, con conseguenti
tagli alle spese sociali e agli investimenti in opere di pubblica utilità. In
Italia, dove scarseggiano i fondi per la ricostruzione delle zone terremotate,
si dovranno spendere miliardi di euro per ricostruire infrastrutture adatte
alla mobilità militare.
I 27 paesi della Ue, 21 dei quali
appartengono alla NATO, vengono ora chiamati ad esaminare il Piano. L’Italia avrebbe
quindi la possibilità di respingerlo. Questo però significherebbe, per il
prossimo governo, opporsi non solo alla UE ma alla NATO sotto comando USA,
cominciando a sganciarsi dalla strategia che, con l’invenzione della minaccia
russa, prepara la guerra, questa sì vera, contro la Russia. Sarebbe una
decisione politica fondamentale per il nostro paese ma, data la sudditanza agli
USA, resta nel regno della fantapolitica.
Il manifesto, 3 aprile 2018
NO WAR NO NATO
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