di Margherita
Furlan
1 marzo 2019
“L’Iran è
la principale minaccia in Medio Oriente e affrontare la Repubblica islamica è
la chiave per arrivare alla pace nell’intera regione”. Mentre il segretario di
Stato americano, Mike Pompeo,
pronunciava queste parole in Polonia, nelle stesse ore, il 13 febbraio scorso, l’Iran
veniva colpito da un attentato kamikaze: 42 i pasdaran morti nella provincia
sud-orientale del Sistan e Balucistan. La rivendicazione è arrivata dal gruppo
jihadista sunnita Jaish al-Adl che ha deciso di colpire mentre il paese
celebrava il 40esimo dalla Rivoluzione islamica. Nel silenzio quasi totale dei
media nostrani. “Non è una coincidenza che l’Iran venga colpito dal terrore nel
giorno in cui inizia il circo di Varsavia - ha scritto in un tweet il ministro
degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif - soprattutto quando sostenitori
degli stessi terroristi applaudono dalle strade di Varsavia.” A Zarif non
dev’essere sfuggita la presenza dell’ex sindaco di New York, Rudolph Giuliani,
alle proteste dei Mojahedin-e Khalq lungo le vie della capitale polacca,
mentre si svolgeva la "Conferenza per la stabilizzazione del Medio Oriente”,
voluta e organizzata dagli Stati Uniti. Scopo dichiarato: creare un fronte
unito contro l’Iran. Presenti il vice presidente americano Mike Pence, il
segretario di Stato, Mike Pompeo, e il consigliere per i temi mediorientali,
oltre che genero, dell'inquilino della Casa Bianca, Jared Kushner. A Varsavia
c’era anche, in qualità di
ministro della Difesa e degli Esteri ad interim, il premier israeliano Benjamin
Netanyahu. Al summit, che ha riunito più di 50 Paesi, hanno assistito
delegazioni guidate da ministri di Arabia Saudita, Emirati Arabi, Bahrein,
Marocco, Oman, Yemen, Giordania. Mentre Egitto e Tunisia hanno inviato dei
viceministri. Facendo il conto degli assenti, Teheran può contare sul sostegno
o la neutralità di
Algeria, Libia, Sudan, Libano, Siria, Iraq, Kuwait, Qatar, oltre che su quello
della Turchia, potenza sunnita non araba. In concomitanza con il vertice
polacco, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si trovava a Sochi con i suoi
omologhi di Iran e Russia, Hassan Rohani e Vladimir Putin, lì riuniti per un
nuovo incontro del terzetto di Astana sulla Siria. D’altronde, dopo la sconfitta
di Daesh in Siria, Stati Uniti e Israele non si rassegnano all’influenza della
mezzaluna rossa sciita e della Russia, che ora si espande dal cuore della
Mesopotamia al Mediterraneo. Non sarà allora che il vertice di Varsavia era
diretto non solo contro l’Iran ma anche contro la Russia di Putin e contro la
Cina?
Andiamo con ordine e ritorniamo
per un istante a Varsavia. Non è un caso che gli Stati Uniti abbiano scelto
una location così a nord e al tempo
stesso così a est per parlare di Medio Oriente. Washington infatti ha promesso
a Varsavia di aumentare il numero delle truppe di ”Fort Trump”
contro l’annunciato (in realtà solo dalla potente forza comunicativa della
NATO) pericolo d’invasione russa. A una condizione: che il governo polacco
annulli i contratti già siglati con la cinese Huawei per lo sviluppo della rete
5G. Washington sa bene che chi vince la guerra delle comunicazioni si prende il
mondo. Così a Varsavia, mentre soddisfa i desideri belligeranti di Bibi,
rafforza la NATO ai confini con la Russia, oramai accerchiata, protegge la sua
oramai caduca egemonia dal celeste impero che avanza, e divide, ancora una
volta, l’Europa. L’est asiatico è ora la minaccia numero uno per Washington ma
gli investimenti che gravitano attorno alla nuova Via della Seta fanno gola a
Bruxelles che, in piena crisi economica, oltre che istituzionale, non è neppure
disposta a interrompere gli scambi commerciali con l’Iran. Significativa è
stata l'assenza a Varsavia dell'Alto Rappresentante per la Politica Estera dell'Ue,
Federica Mogherini, che sta lavorando a un nuovo meccanismo finanziario che
aggiri le sanzioni USA contro Teheran. L’Italia, invece, pur esentata dalle
sanzioni USA, ha già congelato gli acquisti di petrolio iraniano (forse spera
ancora nei pozzi petroliferi della Libia?), e ha supinamente e immediatamente
risposto all’appello degli USA inviando a Varsavia il ministro degli Esteri,
Enzo Moavero Milanesi. Tra i paesi europei, oltre all'Italia, era presente con
il ministro degli Esteri, Jeremy Hunt, solo la Gran Bretagna, tra l’altro in
odore di “hard Brexit”. Altri paesi europei hanno deciso di esserci ma con
delegazioni di più basso profilo. D’altronde, gli stessi servizi segreti
militari israeliani - fa notare il Washington Post
che così mette in evidenza anche un ulteriore divario di approccio all’interno
dell’establishement americano - rivelano
proprio il 13 febbraio che l’Iran “non ha violato l’accordo
sul nucleare”, confermando quanto dichiarato
dall’intelligence americana alcuni giorni prima.
Parrebbe quindi che questa volta
gli efficientissimi servizi d’intelligence israeliani abbiano ritardato a
fornire l’informazione a Netanyahu che d’impulso ha twittato: “Ciò che è
importante in questo incontro – e non è segreto, perché ce ne
sono molti – è che questo è un incontro aperto con i rappresentanti dei
principali paesi arabi, che stanno sedendo insieme a Israele per far avanzare l’interesse
comune: la guerra all’Iran.” Ma poi qualcuno è intervenuto a calmierare la
spasmodica frenesia di Bibi e il tweet, con la stessa velocità con cui era
stato pubblicato, è sparito negli oscuri sotterranei del world wide web. Il
premier israeliano nel suo intervento a Varsavia si è così limitato a parlare
della necessità di “combattere l’Iran”, incassando, tra l’altro, la
prossima apertura di relazioni diplomatiche da parte di diversi paesi arabi,
tra cui Yemen, Oman, Bahrein. Il piano Tcefoah di Jared Kushner, atteso da due
anni, è passato quasi inosservato: la questione palestinese, un tempo divisiva,
è diventata quasi irrilevante.
Da Varsavia, nota un tempo per
l’alleanza militare tra gli ex paesi del Blocco sovietico, ora parrebbero
muoversi i primi passi della nuova NATO araba in chiave anti Iran. Il piano, conosciuto come l’Alleanza
Strategica del Medio Oriente (MESA) punterebbe sui pesi massimi del Golfo, l’Arabia
Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. La creazione di uno scudo regionale di
difesa antimissile, che gli Stati Uniti e i paesi del Golfo hanno discusso per
anni senza risultati, sarebbe ora un obiettivo raggiungibile. A guidare il
piano ci pensa Israele. Cosa possiamo attenderci? Il peggio.
Margherita Furlan is an independent journalist, co founder of pandoratv.it. Focused on exposing the lies and propaganda in mainstream media news, she deals in particular with the Middle East and NATO. For more information and media inquiries please go to http://margheritafurlan.com
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