Conte e Profumo con il nuovo Falco Xplorer, il drone più grande mai realizzato da Leonardo
«L’Arte della guerra»
Niente sovranità economica senza quella politica
Manlio Dinucci
Si discute attualmente
su quanti e quali finanziamenti l’Italia riceverà dall’Unione europea e a quali
condizioni. Da Bruxelles arrivano messaggi tranquillizzanti. Ma poiché tali
finanziamenti saranno forniti per la maggior parte sotto forma di prestiti, diversi
economisti avvertono che c’è il pericolo di un forte indebitamento e di una ulteriore
perdita di sovranità economica.
L’attenzione politico-mediatica
si concentra quindi sui rapporti tra Italia e Unione europea. Tema importante,
che non può però essere separato da quello dei rapporti tra Italia e Stati
uniti, di cui in parlamento e sui grandi
media nessuno discute. Si continuano così a ignorare le implicazioni del piano di
«assistenza» all’Italia varato il 10 aprile dal presidente Trump (il manifesto,
14 aprile 2020).
Eppure l’ambasciatore Usa in
Italia, Lewis Eisenberg, lo
definisce «il più
grande aiuto finanziario che gli Stati Uniti abbiano mai dato a un paese dell’Europa
occidentale dal 1948, dai tempi del Piano Marshall». A supporto delle attività sanitarie
anti-Covid già «decine
di milioni di dollari sono andati e andranno alla Croce rossa e ad alcune organizzazioni
non governative» (non meglio
identificate). Oltre a questo il piano prevede una serie di interventi per «sostenere
la ripresa dell’economia italiana».
A tal fine il
presidente Trump ha ordinato ai segretari del Tesoro e del Commercio, al presidente
della Banca di Export-Import, all’amministratore dell’Agenzia Usa per lo sviluppo internazionale,
al direttore della United States
International Development Finance Corporation (agenzia governativa che finanzia progetti di
sviluppo privati) di usare i loro strumenti per «sostenere le imprese italiane». Non viene detto quali
imprese sono e saranno finanziate nel quadro di tale piano, né a quali
condizioni sono vincolati tali finanziamenti.
L’ambasciatore Eisenberg parla in generale degli
ottimi rapporti tra Stati uniti e Italia, dimostrati da «importanti indicatori di tipo economico
e strategico», tra cui «uno dei più grandi accordi militari con Fincantieri», che lo scorso maggio si è
aggiudicata un contratto da circa 6 miliardi di dollari per la costruzione di
dieci fregate multiruolo della US Navy. Il gruppo italiano, controllato per il
70% dal Ministero dell’economia e delle finanze, ha negli Usa tre cantieri, in
cui sono in costruzione anche quattro analoghe navi da guerra per l’Arabia
Saudita.
Altro importante indicatore di tipo economico e
strategico è la crescente integrazione della Leonardo, la maggiore industria
militare italiana, nel complesso militare-industriale Usa soprattutto
attraverso la Lockheed Martin, la maggiore industria militare statunitense. La
Leonardo, di cui il Ministero dell’economia e delle finanze è il principale azionista,
fornisce negli Usa prodotti e servizi alle forze armate e alle agenzie
d’intelligence, e in Italia gestisce
l’impianto di Cameri dei caccia F-35 della Lockheed Martin.
Sono questi e altri potenti
interessi – in particolare quelli dei grandi gruppi finanziari – che legano l’Italia
agli Stati uniti. Non solo la politica estera e militare, ma anche quella economica
dell’Italia viene così subordinata alla strategia degli Stati uniti, improntata
a un sempre più acuto confronto politico, economico e militare con la Russia e
la Cina. È chiaro il piano di Washington: sfruttare
la crisi e le fratture nella Ue per rafforzare l’influenza Usa in Italia.
Le conseguenze sono evidenti.
Mentre ad esempio sarebbe nostro interesse nazionale togliere le sanzioni a
Mosca, così da rilanciare l’export italiano in Russia per ridare ossigeno
soprattuttto alle piccole e medie imprese, tale scelta è resa impossibile dalla
nostra dipendenza dalle scelte di Washington e di Bruxelles.
Sono allo stesso tempo in
pericolo gli
accordi dell’Italia con la Cina nel quadro della Nuova Via della Seta, non
graditi a Washington. La mancanza di reale sovranità politica impedisce queste
e altre scelte economiche di vitale importanza per uscire dalla crisi. Ma di
tutto questo, nel talk show della politica, non si parla.
Manlio Dinucci
il manifesto, 9 giugno 2020
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