L’impero americano d’Occidente
schiera le truppe per la battaglia
Manlio Dinucci
Si è svolto ieri, al quartier generale di Bruxelles, il Summit Nato:
il Consiglio Nord Atlantico al massimo livello dei capi di stato e di governo. Esso
è stato presieduto formalmente dal segretario generale Jens Stoltenberg, di
fatto dal presidente degli Stati uniti Joseph Biden, venuto in Europa per chiamare
alle armi gli Alleati nel conflitto globale contro Russia e Cina. Il Summit
Nato è stato preceduto e preparato da due iniziative politiche che hanno visto
Biden protagonista – la firma della Nuova
Carta Atlantica e il G7 – e sarà seguito dal vertice del presidente Biden col presidente
della Federazione Russa Vladimir Putin, il 16 a Ginevra, il cui esito è preannunciato
dal rifiuto di Biden di tenere, come di prassi, una conferenza stampa finale con
Putin.
La Nuova Carta Atlantica, firmata il 10
giugno a Londra dal Presidente degli Stati uniti e dal Primo ministro
britannico Boris Johnson, è un significativo documento politico al quale i
media nostrani hanno dato scarso rilievo. La Carta Atlantica storica – firmata dal
presidente Usa Roosevelt e dal primo ministro britannico Churchill nell’agosto
1941, due mesi dopo che la Germania nazista aveva invaso l’Unione Sovietica –enunciava
i valori su cui si sarebbe basato il futuro ordine mondiale, garantito dalle «grandi
democrazie», anzitutto la rinuncia all’uso della forza, l’autodeterminazione
dei popoli e i loro uguali diritti nell’accesso alle risorse. Dopo che la
Storia ha dimostrato come siano stati applicati tali valori, ora la Carta Atlantica
«rivitalizzata» ribadisce l’impegno a «difendere i nostri valori democratici
contro coloro che cercano di minarli». A tal fine Usa e Gran Bretagna
assicurano gli Alleati che potranno sempre contare sui «nostri deterrenti
nucleari» e che «la Nato resterà una alleanza nucleare».
Il Summit G7, svoltosi in Cornovaglia l’11-13
giugno, intima alla Russia di «porre fine al suo comportamento destabilizzante
e alle sue attività maligne, compresa la sua interferenza nei sistemi
democratici di altri paesi», e accusa la Cina di «pratiche non di mercato che
minano il funzionamento equo e trasparente dell'economia globale». Con queste e
altre accuse (formulate con le stesse parole di Washington), le potenze europee
del G7 – Gran Bretagna, Germania, Francia e Italia, che sono allo stesso tempo
le maggiori potenze europee della Nato – si sono allineate con gli Stati uniti
prima dello stesso Summit Nato.
Esso si è aperto con la dichiarazione che «la
nostra relazione con la Russia è al punto più basso dalla fine della guerra
fredda: ciò è dovuto alle azioni aggressive della Russia» e che «il
rafforzamento militare della Cina, la sua crescente influenza e il suo
comportamento coercitivo pongono sfide alla nostra sicurezza». Una vera e
propria dichiarazione di guerra che, capovolgendo la realtà, non lascia spazio
a trattative che allentino la tensione. Il Summit ha dichiarato aperto un «nuovo
capitolo» nella storia della Alleanza, basato sull’agenda «Nato 2030». Viene
rafforzato il «legame transatlantico» tra Stati uniti ed Europa su tutti i
piani – politico, militare, economico, tecnologico, spaziale ed altri – con una
strategia che spazia su scala globale, dal Nord e Sud America all’Europa, dall’Asia
all’Africa In tale quadro gli Usa schiereranno tra non molto in Europa contro
la Russia e in Asia contro la Cina nuove bombe nucleari e nuovi missili
nucleari a medio raggio. Da qui la decisione del Summit di accrescere
ulteriormente la spesa militare: gli Stati uniti, la cui spesa ammonta a quasi
il 70% di quella complessiva dei 30 paesi della Nato, spingono gli Alleati
europei ad accrescerla. L’Italia, dal 2015, ha aumentato la sua spesa annua di
10 miliardi, portandola nel 2021 (secondo i dati Nato) a circa 30 miliardi di
dollari, la quinta in ordine di grandezza fra i 30 paesi Nato, ma il livello che
deve raggiungere supera i 40 miliardi di dollari annui.
Viene allo stesso tempo rafforzato il ruolo
del Consiglio Nord Atlantico, l’organo politico dell’Alleanza che, secondo le
norme Nato, decide non a maggioranza ma sempre «all’unanimità e di comune
accordo», ossia d’accordo con quanto deciso a Washington. Ciò comporta un ulteriore
indebolimento dei parlamenti europei, in particolare di quello italiano, già oggi
privati di reali poteri decisionali su politica estera e militare dato che 21
dei 27 paesi della Ue appartengono alla Nato. Non tutti i paesi europei sono
però sullo stesso piano: Gran Bretagna, Francia e Germania trattano con gli
Stati uniti in base ai propri interessi, mentre l’Italia si accoda alle
decisioni di Washington contro i suoi stessi interessi. I contrasti economici (ad
esempio quello tra Germania e Usa sul North Stream) passano però in secondo
piano di fronte al superiore comune interesse: far sì che l’Occidente mantenga
il suo predominio in un mondo in cui emergono, o riemergono, nuovi soggetti
statuali e sociali.
(il manifesto, 15 giugno 2021)
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