Perché la Germania ha vinto e l’Italia ha perso
L’arte della guerra. La rubrica
settimanale a cura di Manlio Dinucci
EDIZIONE DEL27.07.2021
PUBBLICATO26.7.2021, 23:59
La cancelliera tedesca Merkel – scrive
Alberto Negri (il manifesto, 23 luglio) – ha resistito alle
pressioni di tre amministrazioni Usa – Obama, Trump e Biden – perché
cancellasse il North Stream 2, il gasdotto che affianca il North Stream
inaugurato dieci anni fa, raddoppiando la fornitura di gas russo alla Germania.
È invece «fallito il South Stream, il gasdotto di
Eni-Gazprom». Conclude giustamente Negri che la Merkel «ha vinto la partita che noi abbiamo perso».
Sorge spontanea la domanda: perché la Germania ha vinto e l’Italia ha perso?
Significativo il titolo del Washington Post: «Usa e
Germania raggiungono un accordo sulla pipeline del gas russo, ponendo fine alla
disputa tra alleati». L’accordo, stipulato dal presidente Biden con la
cancelliera Merkel, è stato ed è fortemente osteggiato da uno schieramento
bipartisan del Congresso, capeggiato dal senatore repubblicano J. Risch che
propone una legge contro «il maligno
progetto russo».
Quindi l’accordo è in effetti una «tregua» (come la definisce Negri). La
ragione per cui l’amministrazione Biden ha deciso di stipularlo è mettere fine
alla «disputa» che incrinava i
rapporti con la Germania, importante alleato Nato. Questa ha dovuto però pagare
il «pizzo» al boss Usa, impegnandosi– come ha richiesto la sottosegretaria di
Stato Victoria Nuland – a «proteggere
l’Ucraina» (di fatto già nella Nato) con un fondo di investimento di 1
miliardo di dollari che la risarcisca per i diminuiti introiti, dato che i due
gasdotti gemelli North Stream passano dal Mar Baltico aggirando il suo
territorio. Come contropartita la Germania ha, almeno per ora, il permesso Usa
a importare dalla Russia 55 miliardi di metri cubi annui di gas naturale.
Il gasdotto è gestito dal consorzio internazionale Nord
Stream AG, costituito da 5 società: la russa Gazprom, le tedesche
Wintershall e Pegi/E.On, l’olandese Nederland’s Gasunie e la francese Engie. La
Germania diviene così l’hub energetico per lo smistamento del gas russo nella
rete europea.
Lo stesso ruolo avrebbe potuto assumere l’Italia con
il gasdotto South Stream. Il progetto era nato nel 2006, durante il governo
Prodi Il, con l’accordo stipulato da Eni e Gazprom. Il gasdotto
avrebbe attraversato il Mar Nero (in acque territoriali russe, bulgare e
turche) proseguendo via terra attraverso Bulgaria, Serbia, Ungheria, Slovenia e
Italia fino a Tarvisio (Udine). Da qui il gas sarebbe stato smistato nella rete
europea.
La costruzione della pipeline era iniziata nel 2012.
Nel marzo 2014 la Saipem (Eni) si aggiudicava un primo contratto da 2 miliardi
di euro per la costruzione del tratto sottomarino. Nel frattempo però,
mentre con il putsch di Piazza Maidan precipitava la crisi ucraina,
l’amministrazione Obama, di concerto con la Commissione Europea, si muoveva per
affossare il South Stream. Nel giugno 2014 arrivava a Sofia una delegazione
del Senato Usa, capeggiata da John McCain, che trasmetteva al governo bulgaro
gli ordini di Washington. Subito questo annunciava il blocco dei lavori del
South Stream, in cui la Gazprom aveva già investito 4,5 miliardi di dollari. In
tal modo l’Italia perdeva non solo contratti per miliardi di euro, ma la
possibilità di avere sul proprio territorio l’hub di smistamento del gas russo
in Europa, da cui sarebbero derivati forti introiti e incremento di posti di
lavoro.
Perché
l’Italia ha perso tutto questo? Perché il governo Renzi (in carica dal 2014 al
2016) e il Parlamento hanno accettato a testa china l’imposizione di
Washington.
La
Germania della Merkel, al contrario, si è opposta. Ha quindi aperto la «disputa
tra alleati» che ha costretto Washington ad accettare il raddoppio del North
Stream, pur mantenendo gli Usa la pretesa di decidere da quali paesi l’Europa
può importare o no gas naturale. Un governo italiano oserebbe aprire una
disputa con Washington per difendere un nostro interesse nazionale? Il fatto è
che l’Italia ha perso non solo il gasdotto, ma la propria sovranità.
il manifesto, 27 luglio 2021
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